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Era una fredda domenica di dicembre e il treno si era appena fermato in stazione.

Scesi col mio zaino avio militare e m’incamminai verso casa lungo le strade semideserte, di una città ancora sonnecchiante alle prime luci dell’alba. Finalmente a casa e di li a poco, Natale.

Giunto davanti al portone in legno dell’abitazione di famiglia, uno di quei palazzi tipici della medio-borghesia del “Libertà”, m’infilai senza esitare. E mentre salivo le scale, allargai la cravatta blu, sbottonai la giacca e poi la camicia, mi tolsi la bustina e il cappotto coi bottoni dorati, come a guadagnar tempo.

Due piani. Dal pianerottolo l’odore del caffe si faceva più intenso. Suonai. La porta si aprì e mia madre dall’altra parte mi guardò, sorpresa, incredula, come se avesse visto un fantasma. Non mi aspettava.

Entrai. Il caldo tepore della casa mi avvolse mentre la radio mandava “Ci penserò domani”.

Disse poi inseguendo un pensiero: è vero, con te io stavo bene e se io fossi una donna che torna è qui che tornerei.

Poi cenammo qui, le chiesi: Domani cosa fai?

La pioggia batteva sui balconi. Rispose: ci penserò domani!

Mi svegliai la mattina e sentii la sua voce di là: Parlava in inglese, la guardai. Aveva il telefono in mano e il caffè

E non mi sorprese, accettai il breve sorriso e il viso di una che non resta.

Se puoi, mi disse, se puoi, Non cambiare mai da come sei!

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