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Sergio Mattarela

Il Presidente della repubblica Sergio Mattarella, intervenendo lo scorso mercoledì agli 800 anni di storia  dell’Università di Padova, il prestigioso Ateneo dove si sono laureati diversi giovani ingegneri modugnesi, non perde occasione per ricordare l’aggressione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, avvenuta il 24 febbraio 2022. Questa volta lo fa con una riflessione sulla libertà. Il principio di libertà è stato da sempre il patrimonio morale che l’Ateneo di Padova ha cercato di difendere nel tempo e trasmettere ai posteri, come valore fondante di emancipazione e di resistenza ai nazionalismi. 

Non c’è libertà piena se gli altri ne sono privi”, dice Mattarella e aggiunge “la libertà non è un bene divisibile”. Ma si spinge oltre. Da giurista quale è offre una chiave di lettura del conflitto, esplicitando la sua idea per una ricomposizione delle legittime e rispettive ragioni delle parti in causa, che non possono prescindere dal ripristino del diritto internazionale. Quel diritto violato da Vladimir Putin, attraversando con i carri armati il confine politico dell’Ucraina, aggredendo uno stato sovrano, libero e indipendente.

E’ questa la ragione che sposta il conflitto Russo-Ucraino, da un piano squisitamente nazionale, quale può essere la belligeranza di due stati che si sentono lesi rispettivamente nei propri diritti violati, ad uno superiore, internazionale, che coinvolge inevitabilmente il resto del mondo, e quindi anche noi, a cominciare dall’Europa, che sente per prima, data la sua vicinanza geografica, il fragore delle bombe.

Ordinando l’aggressione dell’Ucraina, Putin ha violato principi e valori che reggono l’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite (Onu), a cominciare dal rispetto della sovranità degli stati, l’autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere in modo pacifico le controversie, il dovere di astenersi dall’uso della forza e l’obbligo di non interferire con le competenze interne di altri Stati. E lo fa, per giunta, da stato membro fondatore dell’organizzazione mondiale.

Se accettassimo l’idea che è la forza e l’effetto che ne deriva e non il diritto, la ragione per dirimere, e quindi “normare” un conflitto, ritorneremmo, inevitabilmente, dritti nei secoli bui del medioevo. Una regressione allo stato di natura (homo homini lupus), di una guerra perenne di tutti contro tutti, di hobbesiana memoria, che non solo umilierebbe, ma addirittura cancellerebbe con un colpo di spugna il diritto internazionale, frutto di secoli di lotta per la sua affermazione. Un diritto cioè che in qualche maniera è comune e superiore a ciascuno degli stati, che tanto fervore suscitò in Ugo Grozio, “padre” del diritto internazionale, ponendo nel suo “De jure belli et pacis”, dopo l’umiliazione dell’Olanda imposto con l’Atto di navigazione, da parte degli inglesi di Cromwell, i limiti all’azione di ciascuno stato, che nemmeno per la necessità della guerra possono essere violati.

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