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In una recente intervista di Martina Castigliani al sociologo francese Albert Ogien,  esperto di movimenti sociali, pubblicata sul Fatto Quotidiano, Ogien dice che i partiti ormai sono diventati delle strutture vuote senza militanti. Macchine che servono a mantenere i loro dirigenti. Fanno sempre meno politica, soprattutto sui temi caldi e controversi come i diritti civili, l’aborto, l’eutanasia, il clima e l’ambiente. Sono sopravvalutati nel dibattito mediatico e nei talk show, mentre la politica corre nei movimenti, fuori dai partiti e dai palazzi. 

Ogien dice una verità che conosciamo da tempo. Ma come far arrivare le istanze politiche che vengono dibattute nella società civile e nei movimenti sociali, all’interno delle assemblee istituzionali e nel parlamento, per essere tradotte in leggi, resta ancora oggi per la sociologia politica un problema da risolvere.

Da tempo la rappresentanza politica è in crisi. Chi ci rappresenta o vuol farci credere di rappresentarci, in realtà ha finito col rappresentare solo se stesso o, nel migliore dei casi, un gruppo di tesserati di partito che sostengono il proprio leader e che, da questa fedeltà, traggono interesse personale. Ciò accade a livello locale, nonostante sia il luogo ideale dove la rappresentanza può produrre buoni risultati per via della vicinanza che lega rappresentante e rappresentato, ma soprattutto a livello nazionale. Sia chiaro, l’interesse a cui mi riferisco, non sempre e non solo è di natura economica. Esso va inteso nell’accezione weberiana e cioè come una variabile dipendente dalla concezione che ognuno di noi ha della vita.

Antonio Padellaro, scrittore e giornalista, che ha fatto dell’informazione politica la sua ragione di vita, nel suo ultimo libro “Confessioni di un ex elettore”, PaperFIRST, 2023, si confessa e dichiara di essere, appunto, un ex elettore. Lo stesso ha fatto Corrado Augias, anch’egli scrittore e giornalista.

Se fossero solo costoro a professarsi “ex elettori”, disertare le urne e non esercitare il diritto di voto, che ricordiamo essere la massima espressione di libertà in cui si manifesta il diritto politico, il problema certamente non si porrebbe. Ma così non è. Al contrario. L’atteggiamento di forte critica al sistema della rappresentanza e disaffezione generalizzata verso la politica, manifestata nelle ultime elezioni politiche hanno visto l’affermazione della destra di Meloni, accompagnata da un astensionismo che ha toccato 22 milioni e ottocentomila elettori.

Un dramma, un deficit democratico che realizza appieno il paradosso della democrazia, dove una minoranza decide o condiziona pesantemente la maggioranza.

Eppure di fronte a tale vulnus i partiti invece di correre ai ripari girano la testa dall’altra parte.  

Se provate a chiedere ai vostri amici e alle loro famiglie, che ogni domenica sera accompagnano i figli alla stazione di Bari per prendere Frecciarossa o all’aeroporto “Karol Wojtyla” di Bari-Palese per imbarcarsi su un volo internazionale per raggiungere il luogo di lavoro, da chi si sentono rappresentati,  vi risponderanno da nessuno.  Le ragioni di chi invece resta, talvolta sono peggiori di chi parte, ma la risposta alla domanda è sempre la stessa: nessuno.

Il declino della rappresentanza politica ha raggiunto il suo apogeo col “Rosatellum”, la legge elettorale ancora vigente, voluta dal Partito Democratico, che a parole si dichiara “democratico” ma nei fatti agisce da liberista, cioè più a destra delle destre, redigendo ed approvando una legge elettorale che toglie all’elettore la sovranità di scegliere il proprio rappresentante, peraltro sancito dalla costituzione e introduce di fatto la nomina dei parlamentari da parte delle segreterie dei partiti, cioè scatole vuote, come le definisce il sociologo Ogien, ma piene di potere e interessi particolari, senza alcun obbligo politico di dar conto ad alcuno perchè non eletti da nessuno.

E allora forse è il caso, come ha ammonito Monsignor Satriano in occasione della festa di San Nicola di Bari dello scorso 9 maggio, riferendosi allo striscione apparso sulla pensilina posta “N-dèrr’a la lanze”, state lontani dai ricci che sembrano buoni ma sono vuoti, “LE RIZZE VACANDE”, appunto.

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