
Ero già stato due volte a Budapest quando l’Ungheria era nel Patto di Varsavia e la vita politica ed economica del paese scorreva sotto stretta sorveglianza dell’Unione Sovietica. Ricordo le lunghe file alla frontiera, i negozi semivuoti, le carrozzine dei bambini con le grandi ruote in stile anni ’40, gli ungheresi col naso schiacciato sulle vetrine mentre guardano un giocattolo della Lego, bello e inaccessibile. E poi gli anziani col palettino e scopa, ovunque nella metropoli a raccogliere cicche e cartacce per tenere pulita la città. Come non ricordare il rumore di ferraglia dei tram su rotaia che sembrava dovessero cadere a pezzi, le luci fioche dei lampioni che illuminavano a malapena le grandi piazze silenziose, interrotte dal rumore delle scarpe delle donne sui sanpietrini. E le periferie brulicanti di “blocchi”, palazzi grigi senza balconi in stile socialista, conficcati nel terreno, accanto alle guglie gotiche delle chiese. E il ’17 con la sua rivoluzione: da un lato l’impero dall’altro il socialismo reale con la sua economia pianificata, con casa, lavoro, e un pasto caldo giornaliero a tutti. Eppoi lo stato, sempre accanto, dalla culla alla tomba.
Ci sono tornato per la terza volta nel 2016 e le cose erano radicalmente cambiate. Budapest si mostrava come una signora orgogliosa del suo passato remoto e della sua bellezza di grande metropoli mitteleuropea. Il Parlamento sul Danubio con le enormi piazze circostanti, i giardini fioriti e ben curati, le aree pedonali diffuse nel centro urbano attraversate da tram moderni su rotaie, ciclabili che attraversano i grandi boulevard senza mai interferire e tantissime fontane architettoniche disseminate tra le vie, le piazze e i giardini. E poi l’arte e i monumenti, ovunque per strada, come fosse un museo a cielo aperto. La vita sociale delle persone è così cambiata che diventa difficile cogliere le differenze da quella vissuta a Parigi, Roma o Milano, anche se, il reddito medio pro capite in Ungheria è ancora oggi al di sotto della media europea e l’euro non ha ancora preso il suo corso legale in sostituzione del fiorino.
Chi ha visitato Budapest, sa che una delle strade più belle del centro che attraversa la capitale è Andrássy utca (utca in ungherese significa: via), un viale alberato, su cui insistono, in un susseguirsi pressoché ininterrotto, sontuose residenze e palazzi signorili. Il viale collega il centro di Budapest a Piazza degli Eroi. Prende il nome da uno dei più grandi statisti ungheresi dell’impero austro-ungarico, il conte Gyula Andrássy.
È interessante notare che i regimi totalitari del ventesimo secolo che hanno calpestato il suolo ungherese, i nazisti e i comunisti, decisero entrambi di avere su quella strada, una sede come quartier generale. In quel luogo, per gli uni come per gli altri, avvenivano torture ed esecuzioni dei prigionieri politici. I nazisti come i comunisti scelsero il palazzo al numero 60 della Andrássy utca per stabilire la loro sede operativa.
L’edificio in stile neo-rinascimentale fu progettato da Adolf Feszty nel 1880. Oggi è un museo, ma è stato testimone di due periodi vergognosi e tragici della Storia dell’Ungheria del XX secolo. Era davvero una ”Casa del terrore”.
Nel 1944, durante il raccapricciante dominio del Partito delle Croci Frecciate Ungheresi, questo edificio, noto come “Casa della Lealtà”, era il quartier generale del partito dei nazisti ungheresi. Successivamente, tra il 1945 e il 1956, le famigerate organizzazioni terroristiche comuniste, l’AVO e il suo successore, l’AVH, si stabilirono qui, al 60 della Andrássy Boulevard, diventando così “Terror Haza”, la casa del terrore e della paura.
Il museo commemora le vittime del terrore, ma è anche un luogo del ricordo che testimonia l’orrore che hanno rappresentato le dittature terroristiche del comunismo e del nazismo in Ungheria.
L’ex-maggiore dell’esercito Ferenc Szálasi e capo del movimento nazionalsocialista ungherese affittò nel 1937 uno spazio nell’edificio per adibirlo a sede del “Partito delle croci frecciate”. Dichiarò in quell’anno che “il quartier generale di Andrássy Boulevard rimarrà sempre per me e per il programma popolare ungherese la “Casa della Lealtà”.
Durante la seconda guerra mondiale, l’Ungheria cadde sotto il fuoco incrociato delle dittature nazista e comunista. Dopo l’ascesa al potere dei nazisti, il nuovo governo collaborazionista ungherese costrinse i cittadini ebrei ad indossare la Stella Gialla. Iniziò il rastrellamento degli ebrei nelle campagne, a cui seguì la loro deportazione nei campi di sterminio tedeschi. Nell’ottobre 1944, l’Ungheria fece tentativi disperati per porre fine alla guerra, ma il vago e debole tentativo fallì. La Germania nazista già battuta ma non ancora conquistata costrinse il reggente Miklós Horthy a dimettersi. Questo episodio fu l’inizio del breve e sanguinario regno della Croce Frecciata.
Nella cantina della “Casa della Lealtà“, membri della Croce Frecciata hanno torturato e ucciso centinaia di persone. In attesa dell’arma segreta di Hitler, ragazzini ungheresi furono arruolati per inutili battaglie da parte dei nazisti mentre ebrei innocenti furono fucilati e gettati nel gelido Danubio. La cieca fede dei membri del Partito della Croce Frecciata Ungherese ha portato l’Ungheria alla distruzione. Gli ebrei furono spinti verso ovest ed epurati, ma l’obiettivo restava quello di sterminare gli ebrei ungheresi rimasti.
Finita la guerra, nel 1945, l’Ungheria passò sotto l’occupazione sovietica. Uno dei primi compiti dei comunisti ungheresi che arrivarono sui carri armati sovietici fu quello di occupare il palazzo al 60 di Andrássy Boulevard. Il Dipartimento di Polizia Politica (PRO) rilevò la sede abbandonata della Croce Frecciata, facendola diventare Ufficio per la Sicurezza dello Stato (AV0) e successivamente Autorità per la Sicurezza dello Stato (AVH).
Gábor Péter era il capo di tutte e tre le organizzazioni. Il Paese ha imparato a temere l’ex apprendista sarto e la sua organizzazione del terrore. Essi ridussero il popolo in sudditi: migliaia di cittadini le temevano e a loro volta, tra di loro si temevano a vicenda. E comunque, se gli veniva ordinato di farlo, uccidevano senza esitazione, o sulla base di confessioni estorte durante brutali interrogatori, mandando le loro vittime al patibolo, nelle carceri oppure nei campi di lavoro.
Gli ufficiali in servizio al 60 di Andrássy Boulevard erano maestri della vita ma anche della morte delle persone. Durante gli interrogatori, inimmaginabili e orribili, durati per settimane, molte delle vittime morivano. Coloro che riuscivano a sopravvivere alle torture e al dolore, che schiacciava il loro corpo e umiliava la loro anima, erano disposti a firmare qualsiasi documento pur di porre termine alle torture.
Un’intera schiera di informatori, un esercito ombra, spiava le persone sui luoghi di lavoro, nelle redazioni dei giornali, negli uffici, nelle università, nelle chiese e nei teatri, annotando ogni mossa. Questi informatori ricevettero pieno appoggio, guida ideologica e assistenza dagli occupanti sovietici, niente o nessuno poteva sentirsi al sicuro. Fu con il loro sostegno che i comunisti salirono al potere, costruirono e preservarono la loro egemonia: un regime tirannico che ha sequestrato, maltrattato o paralizzato una persona su tre in ogni famiglia ungherese.
L’organizzazione divenne così grande e numerosa per la sede del palazzo al 60 della Andrássy Boulevard, già alcuni mesi dopo essersi trasferita, fu necessario occupare l’intero isolato. Le cantine sotto gli edifici erano collegate in modo da formare un labirinto sotterraneo di celle carcerarie.
L’Autorità per la sicurezza dello Stato si trasferì al 60 Andrássy Boulevard nel 1956. L’edificio si confondeva con le altre case lungo il viale, adesso, con la trasformazione in museo avvenuta il 24 febbraio 2002, non solo rende omaggio alla memoria delle vittime, ospitando una mostra permanente, ma anche l’esterno dell’edificio ne evoca lo spirito. Con la sua trasformazione in “Casa del Terrore” non è più semplicemente un edificio. Il 60 Andrássy Boulevard è diventato una scultura, una statua a forma di edificio. L’edificio su Andrássy Boulevard 60 è esso stesso una statua, un monumento del terrore per ricordare le vittime.
L’ex casa del terrore, è oggi la testimonianza che i sacrifici sopportati in nome della libertà non sono stati inutili. Dalla lotta contro i due regimi totalitari, assassini e terroristi (nazismo e comunismo), sono emersi vittoriosi i poteri della libertà e indipendenza.