Oggi si riunisce la Direzione PD per discutere sulla linea del partito da tenere sulla riforma del mercato del lavoro (Jobs Act). Sarà battaglia sull’articolo 18 della legge n.300 del 1970 da parte dell’ala conservatrice del PD (D’Alema, Bersani, Fassina, Cuperlo, Civati, Orfini, etc). Mantenere l’articolo 18 così com’è è da conservatori, atteggiamento tenuto anche da alcuni sindacati, incapaci di ridisegnare il ruolo di un nuovo sindacalismo, in una società che non è più quella del lavoro.
I passatisti della politica (vecchi e nuovi) sventolano la bandiera dei diritti dopo 40 anni di silenzio e letargia su chi quel diritto non l’ha mai avuto.
L’articolo 18 va rivisto, mantenuto nei casi di discriminazione e modificato per il resto, non perchè vetusto, ma semplicemente perchè inadeguato, rivelatosi come un “privilegio” di pochi, come lo è la differenziazione tra pubblico e privato nella regolamentazione dei licenziamenti.
Dopo 40 anni possiamo decretare il fallimento dell’articolo 18 a dirimere il conflitto tra lavoratore e datore di lavoro, in un mondo trasformato e totalmente diverso dal contesto che l’ha generato.
Chiediamoci infatti dove sono e quanti sono i lavoratori licenziati e reintegrati grazie all’articolo 18.
Non è forse un paradosso o peggio ancora demagogia, far finta di lottare per alcune centinaia di persone e lasciare fuori milioni di lavoratori senza tutela e milioni di persone senza lavoro, senza reddito, senza diritti?
E’ questa la politica ed il sindacalismo del XXI secolo?
Piuttosto spostiamo l’attenzione dal posto di lavoro al mercato del lavoro e nel contempo affermiamo il diritto di tutti ad un Reddito Minimo Garantito.
L’ordine del giorno messo ai voti della direzione del Pd passa con 130 voti favorevoli, 11 astenuti e 20 contrari, prevede una “disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza del procedimento giudiziario con l’indennizzo monetario, abolendo la possibilità di reintegro”.