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Riconoscete questo rudere rosso pallido, scolorito dal sole, invaso dai topi e abbandonato all’incuria?

Un  tempo splendeva di un rosso pompeiano, tipico delle Stazioni ferroviarie, Case cantoniere o Caselli ferroviari.

La foto  mostra  il vecchio “Casello ferroviario” n.9 di via Bitonto a Modugno, in prossimità del cimitero.

Quale sarà il destino di quel rudere? Lo ignoro, immagino però quel che pensano i deboli di mente e cioè che “il nulla è sempre meglio di qualcosa” e ne decretano l’abbattimento.

Se così fosse avremmo un’altra “isola di calore” che si aggiungerà al “patrimonio” dell’imbecillità esistente, un’altra lingua d’asfalto, un’altra macchia che impedirà la lettura di un pezzo di storia che ci appartiene.

I caselli ferroviari rappresentano un capitolo affascinante della storia delle infrastrutture e del trasporto di una comunità. Nati con l’avvento delle prime ferrovie, questi piccoli edifici erano veri e propri avamposti, sentinelle poste a guardia dei binari al servizio del passaggio dei treni.

La loro presenza lungo la linea serviva per controllare i tratti ferroviari e segnalare pericoli. Ce n’erano così tanti da diventare un elemento caratteristico del nostro paesaggio rurale. Alcuni erano affascinanti, altri maestosi ma eleganti nella forma e nei colori, altri ancora pieni di mistero perchè reconditi o impenetrabili allo sguardo indiscreto della gente.

Il Casello ferroviario, oltre ad essere un luogo di lavoro, era spesso anche l’abitazione del casellante e della sua famiglia. Una vita isolata, ma fondamentale per il buon funzionamento del sistema ferroviario. Il casellante, figura mitica, posto a presidio del Casello comunicava ai macchinisti, attraverso un telefono di bachelite nero oppure segnali luminosi o manuali, le condizioni della tratta. Si occupava della manutenzione ordinaria della linea, rimuoveva ostacoli, riparava piccoli guasti. Insomma, garantiva la sicurezza del passaggio dei treni, azionando i segnali e, in alcuni casi, come il Casello di Modugno di via Bitonto, gestiva il passaggio a livello.

Con l’introduzione della segnalazione elettrica e del blocco automatico, molte delle funzioni manuali dei casellanti divennero obsolete e a partire dalla seconda metà del Novecento, con l’avvento delle nuove tecnologie, molti caselli furono dismessi e abbandonati, in quanto considerati superati.

A Modugno c’era il Casello ferroviario n.5, posto fuori dell’abitato  sulla via vecchia per Bari e il n.9 appunto, in via Bitonto.

Il casello n.9 di via Bitonto a Modugno era di casa, per via della sua vicinanza all’abitato. Rappresentava un punto di sosta obbligato quando le sbarre del passaggio a livello si abbassavano per il passaggio del treno.  Al Casello ferroviario n.9 di Modugno c’era un andirivieni continuo di persone. Mentre si aspettava davanti alle sbarre si creava una piccola comunità di persone con in mano un mazzo di fiori in attesa che le sbarre si alzassero e proseguire il cammino lungo il viale alberato di cipressi che porta al cimitero, per deporre fiori sulla tomba dei propri cari. Approfittando della pausa forzata, la gente chiacchierava, si scambiava informazioni, si salutava, prendeva appuntamenti, imprecava contro la ferrovia e talvolta il casellante per la lunga attesa “accusandolo” di aver anzitempo abbassate le sbarre. Tutto accadeva con in mano un mazzo di fiori.

Il telefono del casellante squillava in ogni momento della giornata e le sbarre bianche e rosse del “passaggio a livello”  erano continuamente in movimento. Su e giù, giusto il tempo per il passaggio del treno. Sento ancora il tintinnio delle campanelle accompagnato dal semaforo rosso lampeggiante, che segnalava ai pedoni e auto l’imminente abbassamento delle sbarre e quindi arrivo del treno. Quello dello Stato era difficile da osservare nei dettagli. Guardavi a destra, poi a sinistra per cercare di vederlo apparire immediatamente dopo la curva e non sapevi mai se proveniva oppure procedeva per Bari. L’orecchio era teso per aiutare la vista, ma tutto si rivelava inutile. All’improvviso ti passava sotto il naso e perdevi ogni speranza di poter guardare negli occhi  il macchinista.

Non ci resta che attendere la sua demolizione, la cancellazione di un’altro piccolo frammento di storia comunitaria e di archeologia industriale, anche se qui si tratta di un patrimonio urbanistico da recuperare, preservare e valorizzare.

Negli ultimi anni si è riscoperto l’interesse per questi edifici storici, che rappresentano un patrimonio architettonico e culturale di grande valore. Essi rappresentano un legame tangibile con il passato industriale, sono parte integrante del patrimonio architettonico urbanistico di grande valore, sono edifici di pregio, con caratteristiche architettoniche uniche che andrebbero recuperate, valorizzate e attualizzate.

Simboli del territorio che ne definiscono l’identità sui quali possiamo progettare il futuro economico dei nostri giovani.

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