Tra qualche settimana, esattamente il 9 novembre, ci ritroveremo a vivere un giorno “particolare”. Per molti di noi, quel giorno sarà un giorno come un’altro, e, molto probabilmente, faremo le stesse cose che abbiamo fatto il giorno precedente e che, forse, continueremo a fare il giorno successivo. Il funzionalismo sociale che muove il quotidiano delle moderne società, scorre inesorabile, non curante di quanto accade attorno, fino a quando non inciampi nella storia e ti fermi a riflettere.
E la storia, in questo caso è qualcosa di molto recente, è quella accaduta nella Berlino del dopoguerra il cui epilogo è quel 9 novembre del 1989, quando il muro fatto erigere da Walter Ulbricht venne abbattuto. Quel 9 novembre i berlinesi dell’Ovest potettero finalmente (ri)abbracciare i propri cari rimasti intrappolati dalla parte sbagliata del Muro.
Un giorno “particolare”, ma anche importante per tutti noi, per l’Europa, per il mondo intero. Un giorno intriso di alto valore simbolico a cui il Parlamento italiano, con la Legge n. 61 del 15 aprile 2005, ha voluto dargli valore istituzionale definendo il 9 novembre “Giorno della libertà”, in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino.
Questo è scritto nella legge, composta di un solo articolo.
Ma è anche un giorno in cui è necessario coltivare, promuovere, diffondere, trasmettere alle future generazioni il senso e il valore della Libertà, come recita la stessa legge:
“In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti” (art.1 comma 2).
Qualcuno si chiederà il perchè di tanta passione per un qualcosa peraltro che il tempo ha sbiadito o cancellato e la storia archiviato e reso giustizia. Porsi la domanda è certamente un bene, perchè come ogni domanda esige una risposta, che a sua volta sottende una riflessione, un approfondimento, e questo, tiene viva la memoria, la rinnova, la declina e finanche l’attualizza. Così facendo entra nelle pieghe del diritto, della politica e della società e svela quelle forme insidiose e recondite delle norme, dei costumi e del linguaggio che dissimulano intolleranza e totalitarismo spacciandole per modernità.
Mi vien da dire, a parte la vita, che tra l’altro non ci vien data da nessuno se non dalla natura, o, per chi crede, da Dio onnipotente, cosa c’è di più importante per un uomo se non la Libertà?
Eppure, nonostante l’Uomo nasca libero, ontologicamente libero, argomenta il Roussoau nel suo “Contrat social”, molto spesso è in catene.
Così è stato per una parte del popolo tedesco per un periodo, che, pur se limitato nel tempo, per chi l’ha vissuto, è sembrato non finisse mai. Eppure, quegli aneliti di libertà soffocati con la forza, non si sono mai sopiti nè spenti. Anzi. Sembrava quasi che quanta più forza venisse somministrata da un “clan di fanatici comunisti”, come li defini Ernst Lemmer, per mettere a tacere col terrore 17 milioni di tedeschi e impedire il travaso continuo di esseri umani da una parte all’altra di Berlino, quei primi vagiti di libertà emessi quel fatidico 13 agosto del 1961, ne venivano rinvigoriti, continuando a soffiare ininterrottamente fino al suo epilogo del 9 novembre del 1989. Fine della storia, direbbe F. Fukuyama, se essa avesse un fine.
Ma la storia che vi voglio raccontare è quella di Ellen, una donna che dalla sera alla mattina si ritrova coinvolta in qualcosa più grande di lei. Eppure l’Amore, l’Amicizia, la Libertà ne fanno un’eroina inconsapevole sulla scena della storia recente europea.
Un racconto, frutto di una personale e libera interpretazione di fatti comunque veri, realmente accaduti, che può essere compreso in uno degli episodi più avvincenti e significativi, della storia di Berlino e dell’intera Guerra Fredda. Ma è anche una lode all’Amicizia.
Domenico Sesta detto Mimmo, di origini pugliese, studia in Germania per diventare ingegnere edile. Vive in stretta amicizia con un altro studente italiano Luigi Spina, detto Gigi, conosciuto a Gorizia durante le superiori. Gigi frequenta l’Accademia di Arti Grafiche a Berlino.
Mimmo, concluso a Dusseldorf un primo periodo di praticantato, si era deciso, cedendo alle insistenze dell’amico italiano Gigi, ad iscriversi al Politecnico di Berlino.
Il carattere aperto e solare dei due giovani italiani li porta a stringere amicizia con giovani studenti tedeschi. Tra questi c’è Peter Smith che sarà la causa ispiratrice dell’epica impresa di scavare un tunnel sotto la striscia della morte che divideva Berlino.
Fu così che dalla cantina abbandonata del birrificio Oswald-Berliner-Brauerei, al numero 78 della Bernauer Strasse, con angolo Wolgaster Strasse di Berlino Ovest, attuale Brunnen Strasse, Mimmo e Gigi, assieme ad altri 48 volontari, scavano a cinque metri di profondità, sotto la striscia della morte, un tunnel di 126 metri di lunghezza, sino ad arrivare in una casa abbandonata, al numero 7 della Schönholzer Straße, di Berlino Est. Attraverso quel tunnel e il coraggio di Ellen, (la staffetta) il 14 settembre del 1962, 29 tedeschi riuscirono a fuggire dalla prigionia di Berlino Est, senza che i Vopos, le guardie di frontiera del settore orientale di Berlino, si accorgessero di nulla. Tra loro c’era Peter Smith, uno dei migliori amici di Mimmo e Gigi, rimasto “intrappolato” insieme alla famiglia, dalla parte sbagliata del Muro.