Ogni giorno e spesso ripetutamente durante la giornata, attraversiamo luoghi, vie o piazze, senza mai notare, per la fretta, palazzi, abitazioni, finestre ornamentali, portali, tecniche costruttive o particolarità urbanistiche.
Proviamo a (ri)percorrere le stesse vie ed osservare la nostra città con l’occhio del turista, desideroso di conoscere, cogliere le sfumature dei luoghi che incontriamo, distinguere i colori che scorrono sotto i nostri occhi, ascoltare le lingue e i dialetti o gli odori delle cucine che cambiano da un’abitazione all’altra, oppure far caso a gesti e abitudini ripetute di chi quei luoghi li vive quotidianamente, sedimentando giorno dopo giorno, senza saperlo, storia e tradizioni. Ecco, se lo facciamo, ci sembrerà di non (ri)conoscere quei luoghi. Ci sembrerà di essere lì come fosse la prima volta. Noteremo particolari che per anni, pur se visti e rivisti, pensavamo di conoscere.
Alcuni luoghi, per la loro particolarità sono diventati nel tempo delle vere e proprie icone, legate in corrispondenza biunivoca al luogo, codificando nuovi ideogrammi universalmente riconosciuti per storia e tradizione dagli abitanti, che vivono quotidianamente quella parte di città. Luoghi talvolta così affascinanti, da essere diventati oggetti d’arte e di cultura. Alcuni li descrivono in versi, altri li raccontano, legando storie o fantasie, altri ancora li dipingono. Gli scatti poi, non si contano. Per le guide turistiche rappresentano autentiche “chicche”, saperi da sfoderare all’occorrenza per stupire il turista. Un lascito per chi ci è passato e ascoltato la storia del luogo che forse non rivedrà mai più.
A Modugno, per esempio, quando diciamo “Sop’ a la Mott” oppure “nanze a la Pez’car’”, sappiamo perfettamente di cosa parliamo e come raggiungere quel luogo. Un po’ meno accade per i cosiddetti “passages”. Se ne parla poco. Eppure attorno ad essi, lungo le viuzze del centro storico, tra una chiesa, un rudere, un arco o un passaggio stretto, dove a malapena ci passa una persona, si scatenano le fantasie dei bambini e adolescenti attratti in bilico tra la voglia di conoscere e la paura dell’ignoto. E lì, tra giochi e confidenze, giovani adolescenti legano le loro fantasie ai luoghi, attraversati nel tempo da fate, gnomi, storie di amori impossibili e tradimenti, assassini e fantasmi, come la tradizione racconta.
Ricordate la processione bianca? Quella che dalla Chiesa di San Giuseppe, detta delle Monacelle, in Piazza Romita Vescovo, cuore e anima di una modugnesità ancora tutta da riscoprire e recuperare, si sono viste uscire in processione fantasmi di monache di clausura, mentre raggiungevano l’Arco di San Vito per svoltare lungo l’antica Demetrio Scura, passando per Sant’Eligio e far ritorno nello stesso luogo dal quale erano partite?
Una processione semplice ma solenne, carica di suggestione e di mistero.
Ma non divaghiamo e torniamo all’argomento.
Gli urbanisti sapranno descrivere meglio e in modo più appropriato le tecniche di costruzione, gli aspetti funzionali, ma anche le origini e la storia dei “passages” modugnesi. Personalmente mi limiterò a pubblicare alcune immagini per incoraggiare quella sana curiosità, senza la quale anche il luogo più affascinante perde la sua universale bellezza e spingere ad indagare e conoscere di più e meglio i nostri luoghi e la nostra storia.
I “passages”, sono luoghi coperti che si sviluppano in lunghezza, mettendo in connessione luoghi non adiacenti tra loro, passando tra due edifici, anche attraverso il corpo di fabbrica degli stessi. Essi mettono in comunicazione una via con una piazza, due vie o due piazze, ma possono anche essere “impasse“, cioè senza uscita. Un passaggio che immette in un vicolo cieco. Possono essere coperti, sormontati da palazzi o balconi oppure da vetrate a tutto cielo come a Parigi.
Anche i vicoli o viuzze a cielo aperto o sormontati da archetti possono essere assimilati ai “passages”, per le loro dimensioni così strette da lasciar vedere a malapena un lembo il cielo, come per esempio quello che mette in connessione via La Motta con Largo Santa Caterina, oppure quello che da via G.Battista Saliani si affaccia su Piazza Garibaldi.
Storicamente i “passages” comparvero per la prima volta a Parigi verso la fine del Settecento e, nella prima metà dell’Ottocento, raggiunsero la massima diffusione.
La loro bellezza ed eleganza e la possibilità di poter fare acquisti anche quando piove decretò il successo urbanistico di tale tecnica costruttiva. Al suo interno si stabilirono tantissimi negozi, botteghe, atelier, dove commercianti, artigiani e artisti vendono i loro prodotti oppure bistrot dove consumare una “petit déjeuner” o cena romantica. Insomma, autentiche Gallerie commerciali, come la Galleria Umberto I a Napoli o Gallerie d’arte, come gli Uffizi e la Galleria Vasari di Firenze.
I “passages” parigini sono qualcosa di sorprendente, straordinariamente affascinanti, decorati, pavimentati con marmette ad intarsio o realizzati a mosaico, luminosissime per le grandi vetrate decò di cui sono coperte che lasciano intravedere il cielo.
Nel tuo prossimo viaggio a Parigi, accanto ai luoghi classici dell’asse storico-culturale da visitare, non perdere l’occasione di entrare in uno dei passages parigini, come Passage Vivienne, Passage Jouffroy, Passage Verdeau, Passages des Panoramas, e altri ancora, per rivivere con un pizzico di nostalgia, la Belle Époque.
Sia ben chiaro, nulla a che vedere con i “passages modugnesi” e i suoi fantasmi, ma il concetto resta e l’emozione è da provare!