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<< Prologo

Era quasi un anno che non ci vedevamo. Avevo fatto di tutto per ritagliarmi uno spazio per raggiungerlo e stare sola con lui. Arrivata a Berlino, non appena ci vedemmo, mi raccontò. 

Non potevo dirti tutto per telefono, mi disse Mimmo, visibilmente emozionato dopo il racconto. Capisci! Poi mi guardò con i suoi occhi neri, come faceva quando era preoccupato per qualcosa e non sapeva come comunicarlo e disse: Te la senti di fare la staffetta?

Restai sconcertata. Non me lo aspettavo. Ero venuta a Berlino per stare qualche giorno sola con lui e invece mi ritrovavo catapultata dentro una storia più grande di me. Dopo il suo racconto mi sentivo agitata. Avevo paura. Temevo di non farcela, di non essere capace di condurre un’azione così rischiosa e ardua.

Ma vi rendete conto di cosa mi state chiedendo? 

Volete che mi presti per un’impresa folle, quasi impossibile, per giunta in una città che non conosco né so come orientarmi. Eppoi, la polizia di frontiera!

Pensai. Io che ero venuta a Berlino per stare sola con lui per qualche giorno, mi ritrovavo invischiata in una faccenda dai contorni indefiniti che metteva a rischio persino la mia stessa vita. Ci guardammo e lasciammo per alcuni istanti che fossero gli occhi a parlare per noi. 
Datemi tempo, dissi. Almeno fino a domani. Ero come rassegnata. Sentivo che il destino doveva compiersi, ed io, dovevo solo assecondarlo. 

Andammo a mangiare un boccone sul Ku’damm, una meta obbligata per chi arriva a Berlino. Consumammo un panino con salsiccia piccante al curry, da uno slavo col carretto fermo all’angolo di una strada del centro, molto conosciuto tra gli studenti. Mi lacrimavano gli occhi dal piccante, ma la salsiccia era buona. Poi un caffè al “Am Steinplatz” e il ritorno alla Casa dello Studente.

Il 14 settembre era il giorno del mio compleanno. Mimmo tornò sull’argomento e mi chiese: Te la senti Ellen? Guarda che puoi tirarti indietro, nessuno ti giudicherà. Mi ero preparata nei giorni precedenti. Avevo memorizzato luoghi, percorsi, e soprattutto le frasi da pronunciare per farmi riconoscere. Con un gesto feci svolazzare il palmo della mano, come a sgombrare la mente da dubbi e paure. Eppoi, se fosse accaduto qualcosa, mi dissi, sarei fuggita in occidente passando per Varsavia. Dalla parte opposta della frontiera di Berlino Est, perchè lì, avrebbero chiuso tutti i check-point verso il settore occidentale della città e non mi sarebbe stato possibile lasciare la DDR. E pensare che doveva essere una vacanza! Io e Mimmo. Soli per tre giorni. A Berlino. Adesso che Mimmo mi ha raccontato, le cose sono cambiate. Non posso tirarmi indietro. 

Peter e Mimmo erano amici. Inconsapevolmente Peter, si era trovato il 13 agosto del 1961 dalla parte sbagliata del muro di Ulbrich e bisognava portarlo, assieme alla sua famiglia, verso la libertà. A nulla erano valsi gli avvertimenti di Mimmo a lasciare la DDR prima dell’erezione del muro, quando migliaia di berlinesi riparavano a Marienfelde, il centro di accoglienza dei berlinesi che decidevano di lasciare Berlino Est. Peter era convinto che a loro, studenti universitari, avrebbero consentito di muoversi liberamente in città per completare gli studi. 

Le cose andarono diversamente. Avevo mal d’orecchio quel giorno. 

Presi una pillola, mi infilai un paio di jeans, addosso un impermeabile leggero chiaro e un fazzoletto sul capo, per nascondere i miei capelli rossi. Non potevo permettere che i miei capelli attirassero l’attenzione di qualcuno. Eppoi, mi sarebbe tornato utile per il mal d’orecchio. Lasciai la casa dello studente dirigendomi verso la stazione Zoo, da li presi la metropolitana per raggiungere la Friedrichstrasse. Arrivata sul posto cercai un taxi. Salii su una vecchia limusine e chiesi all’autista di portarmi alla Zionskirche. La chiesa, posta tra la Brunnenstrasse e la Schonauser Alee. La chiesa è uno dei  luoghi simboli della resistenza al nazifascismo, frequentata negli anni ‘80 dagli oppositori alla DDR. Avevo ancora un’ora di tempo prima di iniziare la mia missione. Entrai in chiesa. Un edificio costruita in stile neogotico in mattoni rossi. Mi sedetti sulla panca ed osservai l’abside. Ascoltai il silenzio di quel luogo che trasfondeva calma e serenità, abbandonandomi a sublimi emozioni. Ricordi del passato.
Ma cosa stavo facendo! Non ero mica li in gita, ne potevo lasciarmi andare ad inutili nostalgie. Mi ricordai delle preghiere di mia madre quand’ero bambina e pregai. Chiesi al Signore di aiutarmi. Di stendere la sua mano protettrice su quanto stavo facendo e proteggere soprattutto le persone che stavo aiutando. Ripercorsi mentalmente per l’ennesima volta i luoghi, le strade, le parole da pronunciare, i segni da mostrare, che avevo memorizzato.  Uscita dalla chiesa mi diressi verso il campo da gioco. Le strade di Berlino est a quell’ora del giorno erano poco affollate. La gente al lavoro. Qualche anziano, scostando le tendine, osservava dietro i vetri delle finestre, le strade in cerca di passanti. Erano tempi difficili. I bambini, come al solito, a scuola, mentre le madri per mercati a fare spesa. Il parco col campetto da gioco era vuoto. Mi sedetti sulla panchina e finsi di leggere un quotidiano che avevo acquistato. in realtà osservavo la finestra dell’ultimo piano del palazzo di fronte, oltre il muro, all’incrocio tra la Bernauer e la Wolgaster strasse. Improvvisamente la finestra si aprì e venne steso un lenzuolo bianco. Era il segnale che aspettavo.

… continua

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