Sono contro la pena di morte e pure contro l’ergastolo. Per questo accolgo compiaciuto la sentenza della Corte costituzionale che ha stabilito incompatibile con la Costituzione l’ergastolo ostativo, a cui sono condannati boss e affiliati alla mafia, che impedisce loro, se non collaborano, di accedere (dopo 26 anni di reclusione) alla liberazione condizionale. Anche quando è certo che si sono ravveduti. Pertanto, la Corte Costituzionale dà un anno di tempo al Parlamento per porvi rimedio con una legge.
L’ergastolo però pone una questione molto seria, e cioè, il rapporto tra diritto e violenza e agita costantemente le nostre coscienze.
il diritto sarà differente dalla violenza, se lo sarà, o finirà per assomigliare all’oggetto che tenta di regolare, dalla cui distanza nasce la propria differenza. Ne tanto meno posso immaginare che una violenza (condannare a morte un uomo o tenerlo in cella in attesa che sopraggiunga la morte), può definirsi diritto, solo perchè portato dentro l’ordinamento giuridico.
Il confine tra diritto e violenza è labile e richiede impegno e lavoro per mantenerlo distinto. E’ come camminare sulla cuspide di un asino riuscendo a malapena a tenere l’equilibrio, scivolando inevitabilmente a volte da una parte, a volte dall’altra.
C’è chi non condivide questo punto di vista e comprendo pure le ragioni delle vittime, che, come dice Carmelo Musumeci, un ergastolano ostativo rinchiuso da oltre trent’anni, “forse è anche giusto che qualcuno di noi paghi e soffra all’infinito per il male che ha fatto, affinché la nostra sofferenza dia qualche sollievo alle vittime dei nostri reati”. Ma non credo che la sofferenza del “carnefice” possa dare sollievo alle vittime, anche perchè essa cessa con la sua morte a differenza del dolore delle vittime che resta infinito, senza il perdono. Ecco, di questo hanno bisogno vittime e carnefici per porre fine alla sofferenza e al dolore di entrambi.
Sono certo che la cultura della vita prevarrà su quella della morte e lo Stato smetterà di “uccidere” i suoi membri.
Spostiamo il ragionamento ma rimaniamo in argomento.
Chi di noi ha mai potuto alienare il proprio diritto alla vita (l’ergastolo è assimilabile alla pena di morte, se non peggio) nei confronti di una autorità, sia esso uomo o assemblea?
E quindi, come può uno Stato avere il diritto (se non gli è stato conferito) di sopprimere un proprio membro?
Lo Stato semmai ha come compito precipuo la difesa, la sicurezza e la vita delle persone, quale bene supremo di ognuno di noi e non il suo contrario.
La violenza perpetrata sui propri membri, perchè di questo si tratta quando si uccide un uomo o si da una pena che non finisce mai, resta tale e non può definirsi diversamente, anche se chi la compie è lo Stato.